L'ESPERIENZA DI FORMAZIONE COME
PATRIMONIO DELL'ORGANIZZAZIONE, DEI SUOI OPERATORI, DEI SUOI
DIRIGENTI E DEI SUOI PROFESSIONISTI.
Ogni organizzazione, azienda, scuola, reparto,
piccola o grande che sia, qualunque sia il suo prodotto e
qualunque sia il suo obiettivo, possiede una specifica
dimensione pedagogica e formativa, con caratteristiche e
peculiarità proprie che spesso sfugge all’attenzione dei suoi
membri e a volte anche dei suoi responsabili e dirigenti.
Questa dimensione si dà comunque anche quando non è perseguita
intenzionalmente, forse come surplus se non proprio come effetto
alone di ogni forma di lavoro organizzato che richiede cioè il
coordinamento di uomini, del lavoro di uomini con uomini e
dunque del lavoro su uomini.
Solitamente, infatti, si riconosce che un certo
operatore, professionista o dirigente si è formato o è stato
formato in un determinato ente o azienda ma anche, viceversa che
una certa azienda, ente od organizzazione porta l’impronta di un
determinato manager come pure si valuta o si apprezza un
operatore o un dirigente anche in base al team di provenienza e
ai leaders che lo hanno guidato, oltre che dalle caratteristiche
e qualità dei suoi partners e collaboratori.
Si tratta di un patrimonio costituito e
sedimentato nel tempo in cui confluiscono in combinazioni
variabili, competenze professionali, capacità di guida e di
controllo, abilità pratiche, sapere comunicativo e relazionale,
capacità di ascolto, intuito ed inventiva nella soluzione di
problemi, il precipitato di esperienze lavorative personali e di
gruppo, schemi mentali, tonalità affettive e di carattere, la
pratica del dare e creare fiducia, la capacità di costruire
alleanze di lavoro.
Le grandi organizzazioni, la grande azienda, la
grande impresa hanno da tempo scoperto e riconosciuto questo
patrimonio, vi attingono in modo sistematico e strutturato per
operare trasformazioni, per introdurre innovazioni, per
calibrare e supportare i lavori di e in team con l’effetto
conseguente di svilupparlo e di incrementarlo ulteriormente.
Il patrimonio “formazione” una volta individuato,
esplorato e analizzato, diventa un capitale da investire e su
cui investire, da mettere a frutto e da far crescere in termini
di sviluppo professionale degli operatori, di incremento della
qualità e della quantità delle attività e dunque in termini di
buona salute generale dell’organizzazione.
Apprendere
dall’esperienza per sviluppare un livello avanzato di
professionalità
La crescente domanda di formazione e di pratiche
formative indotta dalle innovazioni organizzative e tecnologiche
in ambito lavorativo e professionale e dalle grandi
trasformazioni istituzionali, sociali e politiche dei nostri
giorni, richiede un forte incremento del sapere pedagogico
nell’ambito della ricerca e dell’innovazione tecnologica ed in
particolare di quelle competenze comunicative e relazionali
indispensabili per interventi formativi chiari, efficaci ed
adeguati.
Per di più la formazione di adulti con adulti e
tra adulti promuove non solo un generale diritto allo studio e
all’insegnamento ma promuove e sancisce uno specifico e
irrinunciabile diritto ad apprendere dall’esperienza.
Così il "saper fare" formazione diventa un
requisito sempre più rilevante in tutte quelle attività e/o
professioni in cui sono coinvolti a vario titolo processi di
apprendimento, di socializzazione, di acculturazione tanto che
si tratti dell'insegnare o dell'addestrare, quanto dell'educare
o del “prendersi cura", che del governare o del gestire.
All’insegnante come allo psicologo,
all’infermiere come all’assistente sociale, al medico come al
manager e agli operatori nei servizi sono sempre più spesso
riconosciuti e richiesti compiti formativi, di guida e di
orientamento verso gli allievi, gli utenti, i pazienti, gli
assistiti e i loro famigliari certo, ma anche verso i
collaboratori, i tirocinanti, i colleghi più giovani, i colleghi
provenienti da altri settori d’intervento e quelli appartenenti
ad altre specializzazioni professionali con i quali si lavora
spesso gomito a gomito, in gruppo o coordinati in équipe secondo
sequenze di azioni preordinate.
Per rispondere a questi nuovi e impegnativi
compiti richiesti da un livello avanzato di professionalità
risulta indispensabile l'acquisizione pratica di tattiche e di
strategie di ricerca e di intervento pedagogici che sappiano
articolare e coniugare efficacemente “il sapere, il saper fare e
il far sapere” non secondo sterili, teorici e angusti
specialismi dottrinali bensì secondo la concreta e vitale
esperienza di ciascuno.
L’esperienza lavorativa di cui ogni operatore è
portatore è un capitale e una risorsa costituiti in anni di
apprendimento sul campo di cui gli enti, le istituzioni, i
servizi di appartenenza possono avvalersi per promuovere ed
incrementare la crescita della professionalità degli operatori e
conseguentemente per accrescere l’efficacia e la qualità dei
servizi offerti.
Come non disperdere questo capitale e come
renderlo utilizzabile e disponibile come risorsa per la
collettività, gli enti, gli utenti, le famiglie e per gli stessi
operatori è l’obiettivo precipuo di un percorso di Clinica
della formazione che intende fare dell’esperienza e
dell’apprendere dall’esperienza il suo principale strumento
operatore.
Siamo d’accordo con la riflessione di Friedrich
Dürrenmatt:
“L’università non dovrebbe essere il luogo
dove il sapere viene tesaurizzato, bensì il luogo dove il sapere
viene compreso. Ma la comprensione del sapere ne favorisce
l’ampliamento e l’ampliamento del sapere a sua vota assegna
nuovi compiti alla comprensione. D’altra parte, ogni
comprensione del sapere rappresenta, per colui che comprende, un
atto creativo, di modo che, pur nel massimo rispetto di
tradizioni e convenzioni, la cultura, intesa come produzione
artistica, al contrario dell’esegesi scientifica, non potrà mai
essere un possesso (o perlomeno lo è solo in quanto mette a
disposizione un sapere specifico: come si potrebbe fare una
certa cosa, ad esempio una poesia, una sonata, un quadro, un
ragionamento filosofico ecc., che poi magari non si fa solo
perché non si riesce a farla; un sapere dunque che io non
sottovaluto ma che nemmeno sopravvaluto). Questa cultura non
sarà mai un possesso ma, per la sua specificità del tutto
particolare, piuttosto una presa di possesso: non un sapere ma
un rischiare, non un intervento a posteriori ma una conoscenza
anteriore, un comprendere nell’atto del fare, sia che si tratti
di una poesia, di una sonata, di un quadro o di un ragionamento
filosofico, senza certezza di riuscita, senza conoscere prima
quale sarà il risultato. Se le cose stanno così, solo
un’università che insegni a comprendere, che non si basi sul
sapere ma sul metodo della comprensione del sapere sarebbe
integrata nella cultura, per come la intendo (e non importa se è
di tipo artistico, scientifico in senso lato o umanistico), una
cultura dell’esperimento, della messa in dubbio del sapere; una
cultura del senso critico, dei modelli di pensiero, delle
antiideologie, delle immaginarie reti tese alla cattura del
prevedibile e dell’imprevisto…”
L’obiettivo del Master dunque non è un
aggiornamento contenutistico disciplinare di tipo tradizionale
bensì l’affinamento e l’approfondimento di quelle modalità
operative, comunicative, relazionali e deliberative che tanta
parte hanno nella gestione efficace del ruolo e delle competenze
specifiche delle professioni educative e formative; e ciò nella
convinzione che una migliore rappresentazione e una più adeguata
definizione del proprio ruolo professionale si consegue
innanzitutto con una esplorazione clinica che favorisce
l’individuazione e il riconoscimento e l’analisi di quei nodi,
di quei problemi, di quegli ostacoli pratici operativi che più
di frequente incontra chi a vario titolo è coinvolto in processi
formativi, nella gestione di procedure, di strategie operative,
comunicative e modalità relazionali nell’ambito dell’educazione,
dell’assistenza e della cura.
Non va dimenticato, infatti, che le
organizzazioni in genere e in specifico le istituzioni
scolastiche e formative, aziende sanitarie, reparti ospedalieri,
enti erogatori di servizi, si definiscono nella percezione e
nell’esperienza dei loro utenti e dei loro operatori e
professionisti come i luoghi naturali di una prorompente
domanda di sapere a volte urgente, apprensiva, sofferente
rispetto cui risulta importante e non privo di responsabilità
non solo il far sapere ma anche il modo in cui si fa
sapere.
Non si tratta solo di apprendere e di far
apprendere dall’esperienza, ma anche di apprendere e di far
apprendere dal linguaggio con il quale ci si riferisce ad essa,
con il quale la si presenta e la si rappresenta alla propria
come alla altrui comprensione. Ci sono parole che contengono
una storia intera, un mito, una favola, in forma nascosta o
rimossa o censurata o più semplicemente, dimenticata. Nella
storia delle parole sono contenuti molti segreti concernenti il
mestiere di formatore e di educatore e non è sufficiente solo
impossessarsi delle modalità del loro impiego ma è necessario
anche e soprattutto conoscere il perché del loro uso e dei
significati diversi che esse possono assumere nello scambio
comunicativo tra chi parla e chi ascolta. Si tratta della
possibilità di poter scoprire le origini dei concetti e dei
significati della esperienza professionale e personale
nell’origine delle parole e che utilizziamo per comunicarle e
rendicontarle. Così parola vale parabola (spagnolo palabra)
cioè allegoria, metafora, simbolo; motto vale mito e favola vale
favella. Forse non si impara a pensare senza le favole.
Per di più la radice med-(medeor in
latino, médo in greco) imparenta la medicina e la
meditazione e l’una e l’altra con la misura (metior)
e questa (mensura) rimanda a mens. Un’altra
parentela ben più inquietante e perciò stesso più intrigante è
quella che unisce medicina con Medusa,
letteralmente “colei che pensa a”, “che si cura di”. La
Medusa era una delle tre Gorgoni, quella mortale, considerata la
Gorgone (= la tremenda) per eccellenza.
Siamo dunque ammoniti: lo sguardo che cura può
essere anche uno sguardo che pietrifica, l’ascolto che accoglie
può essere anche un ascolto che inibisce, il discorso che guida
e mette ordine può essere anche un discorso che schiaccia e
ferisce: il gesto terapeutico può anche risultare mortale!
Imparare a riconoscere e ad esplorare le
esperienze operative, le strategie comunicative e le modalità
relazionali professionali e personali, individuali e di gruppo,
di cui si è portatori, significa conseguire un apprendimento
focalizzato sugli schemi, sulle dinamiche, le procedure, le
tattiche che si mettono in campo quando si comunica e ci si
relaziona con se stessi e con gli altri.
Alla domanda: come devo comunicare e relazionarmi
con i miei allievi, colleghi, utenti? La Clinica della
formazione risponde inaugurando un movimento che inverte il
senso della domanda interrogando direttamente la concreta
esperienza: e tu, come comunichi e ti relazioni nella tua
pratica professionale? Ad un astratto potere risolutivo della
teoria il procedere clinico preferisce innanzitutto rivolgere lo
sguardo alla prassi ribaltando il nesso teoria-prassi chiamando
in causa ed interrogando direttamente l’esperienza personale e
professionale, i suoi successi e i suoi insuccessi, la sua
evoluzione o le sue involuzioni probabili, il suo scorrere senza
intoppi o i suoi relativi gradi di infelicità.
É possibile parlare e narrare di educazione, di
formazione indipendentemente dalle forme linguistiche e
narrative attraverso cui si esprimono? E ancora, è possibile
parlare di educazione e di formazione indipendentemente dai modi
in cui si è stati educati e formati, che fungono come indici di
riferimento interni a chi ne parla? E infine, quanto incide sul
nostro modo di fare formazione e educazione il modo in cui siamo
stati formati e educati?
Questo apprendere di sé da sé, questo apprendere
dall’esperienza segnala e prepara quelle modificazioni, quelle
ricalibrature, quegli accorgimenti necessari per il
miglioramento delle proprie modalità operative e per
l’incremento dell’adeguatezza relazionale e dell’efficacia
comunicativa. Solo così radicandoli nell’esperienza è possibile
sostenere e migliorare capacità operative già acquisite e
promuovere lo sviluppo di nuove competenze professionali.
Un percorso di Clinica della formazione
consentirà attraverso l’orchestrazione di attività espressive,
narrative, grafiche, l’oggettivazione e l’elaborazione
individuale e di e in gruppo, delle esperienze operative e delle
modalità comunicative e relazionali di cui ogni partecipante è
portatore.
Obiettivi di
un percorso di Clinica della formazione: recupero e
tesaurizzazione dell’esperienza di apprendimento e
reinvestimento in competenze operative, comunicative,
relazionali e formative.
-
Promuovere capacità
di individuazione e di valutazione autonoma delle risorse
disponibili nel territorio, nelle istituzioni e nei servizi
per una costruzione personale di percorsi di formazione
continua.
-
Approfondire,
definire e promuovere strategie e dispositivi di ricerca e di
intervento che attraverso momenti di tutoring, di supervisioni
individuali e di gruppo rendano possibile rafforzare capacità
autoriflessive e di elaborazione delle proprie motivazioni
professionali e dei propri bisogni formativi.
-
Esplorare,
comunicare e riflettere sulle esperienze proprie e di altri
relativamente alla formazione personale e all’attività
professionale, in modo da passare dalle esperienze agite alla
loro comprensione e da ciò alla trasformazione delle proprie
modalità d’intervento, soprattutto relazionali e comunicative
(apprendere dall’esperienza).
-
Acquisire,
attraverso questa esperienza di esplorazione e di
rielaborazione della propria vicenda personale e professionale
di apprendimento e di formazione, la competenza pedagogica a
formare altri operatori più giovani o in corso di formazione.
-
Conseguire, grazie
agli apprendimenti raggiunti, una più alta qualificazione
professionale e un migliore orientamento o ri-orientamento
delle proprie capacità e competenze lavorative nei ruoli e
negli ambiti dell’esperienza professionale.
Le
principali competenze cliniche che si intendono sviluppare come
livello avanzato di professionalità educativa e formativa a
partire da concrete abilità di base vanno:
·
dalla capacità
di animare e condurre gruppi di apprendimento a
competenze di comprensione e restituzione delle dinamiche
educative, comunicative e relazionali;
·
dalla capacità
di ascoltare, narrare e ricostruire vicende personali e
professionali a competenze di individuazione ed
elaborazione dei propri modelli mentali e dei propri impliciti
epistemologici;
·
dalla capacità
di instaurare relazioni significative a competenze di
rielaborazione affettiva e cognitiva dei processi formativi;
·
dalla capacità
di progettare interventi e di negoziare decisioni a
competenze di valutazione qualitativa dei sistemi di azione;
·
dalla capacità
di organizzare situazioni operative a competenze per il
riconoscimento e la decostruzione dei dispositivi pedagogici
latenti.
Metodologia: Clinica della Formazione
La
Clinica della formazione costituisce un’importante
innovazione metodologica sia sul piano delle tecniche didattiche
che sul piano dei setting formativi, utilizza e
incrementa la dimensione emotiva, comunicativa e relazionale dei
partecipanti e li impegna in un lavoro di ricerca e di
apprendimento individuale e di e in gruppo.
É grazie agli studi e alle ricerche di Riccardo
Massa e Angelo M. Franza e alle comuni sperimentazioni condotte
nell’arco di circa dieci anni a cominciare dall’ambito
professionale dell’Associazione Italiana Formatori (1992) e del
Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale (1993) per
continuare con l’Istituto Mario Negri di Milano (1994), le
Facoltà di Medicina di Ferrara e Pavia (1995), la Facoltà di
Psicologia di Bologna (1996), I.R.R.S.A.E. – Emilia-Romagna
(1997), I.R.R.S.A.E. – Lombardia (1998), ISREBO – Bologna
(2000), Ospedale S. Anna di Torino D.U. (1998), Ospedale
Maggiore – AUSL Città di Bologna (2000), Università di Verona -
Scuola Superiore di Formazione Sanitaria di Trento (2001),
Collegio IPASVI – Bologna (2002-2003), sino alle recenti
edizioni del Master interuniversitario Milano-Bologna in
“Sviluppo delle competenze cliniche nelle professioni educative
e formative”, a.a. 1998-2000, 1999-2001, 2002-2003 che
l’espressione Clinica della formazione è entrata a pieno
titolo nel lessico pedagogico contemporaneo.
Per Clinica
della formazione si intende:
a)
la
progettazione e la conduzione della ricerca circa gli elementi
costitutivi, i processi e i dispositivi della formazione
d’individui e di gruppi d’individui secondo l'organizzazione e
le modalità conoscitive proprie del metodo clinico: il rapporto
interpersonale fondato su un condiviso impegno alla verità, che
coinvolge l'osservatore nella relazione osservativa, uno sguardo
e un ascolto in cui l'attenzione interrogante dell’osservatore
verso l’osservato é aperta tanto alla propria quanto all'altrui
esperienza.
b)
la
progettazione e la conduzione d’interventi nell'ambito della
formazione dei formatori per l'orientamento, la consulenza e la
supervisione formativa di operatori nelle professioni educative
e formative. L’obiettivo è lo svelamento e il riconoscimento, la
valutazione e l'ottimizzazione delle tattiche e delle strategie
proprie dell'agire pedagogico di ogni singolo operatore e in
ordine specificatamente a competenze comunicative, relazionali e
d’insegnamento-apprendimento.
In entrambe le specificazioni, la
Clinica della formazione
opera con modalità d’esplorazione e di sperimentazione
individuali e di e in gruppo e insiste su un conoscere e un
apprendere dall'esperienza e attraverso l'esperienza.
Le premesse empiriche da cui muove l’approccio
clinico alla formazione poggiano sulla correlazione tra due
osservazioni generali:
a)
non
sempre gli orditi e i costrutti pedagogici sono immediatamente
visibili e riconoscibili, a volte confusi con gli effetti
formativi non intenzionali dei processi del mondo della vita e a
volte inavvertiti perché celati ed operanti al di sotto della
consapevolezza di chi li attraversa, li gestisce o li subisce,
formatore o formando che sia.
b)
la
struttura profonda dei gesti e degli orditi pedagogici non è una
struttura di cui il formando o il formatore, nel costituire, nel
rappresentare e nel dire la propria esperienza di formazione,
sono necessariamente coscienti, ma è una struttura che determina
il modo in cui essi la rappresentano, la costituiscono, la
simbolizzano.
Il
dispositivo
Sia sul versante della ricerca che su quello
pratico-operativo la Clinica della
formazione si presenta come un percorso
che, in assetto di piccolo gruppo e sulla base delle
indicazioni, dei mandati, delle procedure proposti e
amministrati da uno o più conduttori accompagna i partecipanti
nell’esplorazione ed elaborazione di concrete vicende formative
presentate sotto forma di resoconti e narrazioni allo scopo di
estrarne elementi salienti di vicende professionali, le relative
dinamiche formative, i significati e le strutture simboliche
ricorrenti della formazione e permette:
·
di produrre rappresentazioni
circa la formazione;
·
di collocarle nei contesti e nei
costrutti personali, collettivi, professionali e istituzionali
di riferimento;
·
di riappropriarsene
analizzandole e ricostruendone il senso complessivo attraverso
l'interpretazione.
Assunto di base della
Clinica della formazione
è che gli eventi e i processi formativi non sono esterni,
indipendenti da chi li studia, li agisce e dal modo in cui ne
parla, bensì connessi ed interpolati con la rappresentazione che
si ha della propria oltre che dell'altrui formazione.
Il modo in cui un individuo ritiene di essere
stato formato e cioè l'insieme degli eventi, delle fasi e tappe
significative che egli seleziona e la relativa attribuzione di
rilevanza, costituisce un indice di riferimento interno alla
rappresentazione cui egli perviene del processo formativo del
quale è stato soggetto e oggetto al contempo.
In un percorso di
Clinica della formazione queste
rappresentazioni individuali e i relativi vissuti sono raccolti
attraverso la produzione di resoconti e narrazioni, esposti
all'analisi e all’elaborazione di gruppo e successivamente
l'“autore” con l'apporto del gruppo e sotto la guida del
conduttore è impegnato a rintracciare, riconoscere e valutare la
verità pedagogica dichiarata o implicita, manifesta o latente
inscritta nella sua esperienza di formazione. Questa verità
pedagogica si palesa all'autocomprensione dell'“autore” nelle
connessioni e nelle correlazioni che si danno tra un certo modo
di fare formazione, educazione o insegnamento e il modo in cui
si è stati formandi, educandi, soggetti d’apprendimento e
costituisce il nucleo generativo delle mappe cognitive e
affettive con cui egli guarda, narra, vive e in definitiva
esercita l'educazione, la formazione,
l'insegnamento-apprendimento.
Nel dispositivo di
Clinica della formazione gli elaborati
individuali e di gruppo cui l'attività d’osservazione e
d’auto-osservazione conduce sono trattati come testi da
interpretare in quanto prodotti di un’intenzione comunicativa.
Il bersaglio dell'interpretazione non è il
comportamento narrato o il suo “autore”, bensì l'interpretazione
che l'“autore” dà di quello e via via le interpretazioni che di
quell’interpretazione danno i partecipanti al gruppo. Il
materiale clinico raccolto e le interpretazioni degli “autori”
non sono utilizzati per capire la psicologia degli “autori” o
per ricostruire il loro mondo interno, bensì per comprendere le
verità pedagogiche circa la formazione di cui gli “autori” sono
portatori più o meno consapevoli e da quali significati queste
sono intenzionalmente, e non, connotate.
Il dispositivo conclude nella posa in asse dei
materiali prodotti seguendo il gioco dei rimandi interni,
connessioni, congruenze o discrepanze e perviene ad un profilo
individuale e di gruppo delle rappresentazioni professionali,
delle procedure cognitive ed affettive di elaborazione del
processo formativo e delle relative connotazioni simboliche e
d’immaginario pedagogico.
(A.M.
Franza voce Clinica della formazione -
Enciclopedia pedagogica-aggiornamento 2000, La
Scuola, Brescia, 2002)
Lo scopo ultimo di una Clinica della
formazione è quello di pervenire attraverso una
rielaborazione della esperienza di formazione alla costituzione
di una semeiotica della formazione non data e costruita
indipendentemente da essa ma ricavata direttamente da essa e da
chi l’agisce nelle pratiche e nelle procedure che la
istituiscono.
In quanto setting formativo questo
dispositivo punta a favorire un giudizio clinico circa le
tecniche didattiche, le strategie relazionali, le modalità
affettive chiamate in causa o prospettate nell'analisi di
concrete esperienze di formazione in ordine al grado di
congruenza reciproca e al relativo grado di efficacia formativa.
L'elaborazione individuale e di gruppo
dell'esperienza di formazione, consentirà quanto meno ai
partecipanti al setting di Clinica della formazione
di prendere coscienza del come e perché di certi comportamenti,
rappresentazioni, vissuti relativi al lavoro di formazione in
relazione alla propria ed alla altrui esperienza di formatore
e/o di formando. In tal modo, fondando sulla maggiore
consapevolezza prodotta dalla ricerca clinica, crediamo sia
possibile innescare e promuovere quelle modificazioni,
ristrutturazioni, riconfigurazioni del fare formazione che il
giudizio clinico indicherà come più adeguate e perciò stesso più
efficaci; e ciò all'interno degli specifici settori di attività
professionale che si intende esplorare.
Angelo M.
Franza
Direttore
scientifico, progettista, staff group conductor
e
supervisore del Master