Incontri reali
da Masaccio a Pietro Longhi
 
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Storia di San Giuliano
tempera su tavola, cm 24x43
Firenze, Museo Horne

L'opera proviene dal Museo Horne di Firenze, realtà museale dovuta all'insigne collezionista inglese Herbert Percy Horne, nato a Londra nel 1864 e facente parte di quella ricca colonia inglese che, verso la fine del XIX secolo, si stabilì a Firenze per godere delle bellezze della città. Horne dimostrò una spiccata propensione per gli studi nel campo della storiografia artistica. Venne in Italia incaricato dagli editori Bell di Londra di scrivere un libro su Sandro Botticelli.

Si trasferì definitivamente a Firenze nel 1896 con il progetto di trasformare il Palagetto degli Alberti, in via de' Benci a Firenze, ora sede del Museo, in una raffinata dimora rinascimentale, secondo il gusto inglese dell'epoca. Il gusto per le cose antiche lo porterà a raccogliere, presso antiquari toscani, romani e inglesi, una vasta collezione pur non disponendo di una grandissima rendita, usando piuttosto la sua ampia preparazione e il talento nelle attribuzioni. Collezionò, in particolare, Primitivi e maestri del primo Rinascimento fiorentino. In questo quadro acquisì anche la tavola con la Storia di San Giuliano che attribuì per primo al Masaccio (1916) seguito poi da tutta la critica.
La tavola fu resa nota dal Gamba nel 1920 che la attribuì a Masaccio, ipotizzando fosse un frammento della predella del trittico di Santa Maria Maggiore a Firenze, che il Vasari (1550) erroneamente attribuiva al Masaccio, opera invece del Masolino. Il Berenson (1932), Longhi (1940), Ragghianti (1949) ipotizzarono fosse una prima redazione della predella del polittico di Pisa di Masaccio, conservata a Berlino, notando un accenno di paesaggio che sembrava ripetere i ritmi e le cadenze dello sfondo dell'Adorazione dei Magi della predella pisana. Venne però riscontrata un'incongruenza nelle dimensioni, per questo, più recentemente, Procacci (1951), Berti (1964) e Parronchi (1966) lasciano aperta la questione della provenienza della predella pur confermando l'autografia al Masaccio. Il Berti nota però che il committente del polittico di Pisa si chiamava Ser Giuliano.

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Masaccio raffigura in questa tavola i tre momenti cruciali della storia di San Giuliano, l'assassino santo. Nel primo riquadro a sinistra il nobile Giuliano, a caccia di cervi, incontra il demonio in sembianze umane che gli annuncerà la terribile profezia, avrebbe ucciso il padre e la madre. Giuliano, per sfuggire al crudele evento, scapperà di casa e, dopo un lungo peregrinare, entrerà a servizio di un principe e sposerà una ricca castellana.
Nel secondo riquadro Masaccio raffigura il momento finale della tragedia. I genitori di Giuliano, disperati per l'inspiegabile scomparsa del figlio, girarono il mondo alla sua ricerca. Arrivarono, per caso, al castello abitato da Giuliano e dalla moglie che, ascoltata la loro storia e conosciuto i suoceri, li ospita nella stanza matrimoniale. Giuliano, rientrato da un viaggio, cercando la moglie intravede nella penombra della camera da letto le due sagome. Credendo che fossero la moglie con l'amante, accecato da un impeto di gelosia, li uccide con la spada.
Nell'ultimo riquadro l'agghiacciante scoperta di Giuliano che, incontrata la moglie, conosce la verità: la profezia tanto temuta si è avverata. La leggenda continua: la coppia, disperata, peregrinerà per giorni e, giunta sulla riva di un fiume, fonderà uno ospizio. Una notte un angelo, nelle sembianze di un pellegrino, sveglierà Giuliano annunciandogli il perdono del Signore e la futura morte in santità.
La leggenda giunta fino a noi risale al XII secolo, fu scritta da Vincenzo de Beauvoir e riportata da Jacopo da Varagine nella Leggenda Aurea. Si è diffusa in Italia a partire dalla seconda metà del XIII secolo. La tavola è in cattivo stato di conservazione perché è stata esposta al pubblico e i visitatori vi hanno apposto sfregi e abrasioni, specialmente sul volto del giovane a sinistra che impersona il demonio.

Bibliografia: L. Berti, Masaccio, Cantini, 1991; Casazza, Masaccio, Scala, 1990; L. Bertani, Il Museo Horne, Meridiana, 2001.

MASACCIO E LA CAPPELLA BRANCACCI

La più felice introduzione alla comprensione della figura di Masaccio rimane la proposta del Berenson di immaginarlo come "Giotto rinato, che ripiglia il lavoro al punto dove la morte lo fermò". La carriera artistica di Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai, detto Masaccio, è paragonabile solo a quella di pochissimi pittori nella storia dell'arte occidentale: è stato un'onda d'urto formidabile che ha dato un'impronta particolare alla storia dell'arte successiva. Vasari, riferendosi al suo capolavoro, la Cappella Brancacci, ricorda che "tutti i più celebri scultori e pittori, che sono stati da lui in qua, esercitandosi e studiando in questa cappella, sono divenuti eccellenti e chiari", ha quindi un ruolo simile a quello esercitato da Giotto nel secolo precedente.
Accresce il fascino di Masaccio la sua morte prematura. Nasce, infatti, nel 1401 a Castel San Giovanni, l'attuale San Giovanni Valdarno, l'anno del concorso per la Porta del Paradiso del Battistero di Firenze, e muore a soli 27 anni a Roma nel 1428 in circostanze ancora misteriose. E' figlio di un notaio, ma perde il padre all'età di sei anni: "la rivoluzione formidabile, che Masaccio mette in atto, prorompe anche dal suo cuore di orfano, dalle sue manchevolezze, dalle sue paure" (Paolo Volponi). Nel 1417, anno in cui Brunelleschi inizia a voltare la cupola del Duomo, si trasferisce a Firenze con la madre e il fratello minore "lo Scheggia" che esercita la professione del nonno: decoratore di mobili o cassaio. Il cognome Cassai deriva da questa professione esercitata tradizionalmente dalla famiglia. Il soprannome Masaccio, invece, secondo la tradizione raccolta da Vasari, gli fu dato perché "avendo fisso tutto l'animo et la volontà alle cose dell'arte sola, si curava poco di sé et manco d'altrui". Entra nella cerchia di Masolino da Panicale, suo conterraneo, in un rapporto alla pari tra due pittori, se pur di età diversa. Già nel 1422 risulta iscritto all'Arte dei Medici e degli Speziali. Masaccio si forma nello stimolante quadro culturale della Firenze del primo Quattrocento, partecipando alle discussioni, alle polemiche, alle scoperte, la prospettiva in primo luogo, che animano lo scorcio del secondo decennio del secolo. Le due correnti, che crearono il dibattito culturale in città, furono quella "moderata" rappresentata da Lorenzo Ghiberti (1378-1455) e quella fortemente innovativa e sperimentale rappresentata da Brunelleschi e da Donatello che Masaccio scelse come suoi maestri. Vasari lo dice chiaramente "seguitando sempre quanto e' poteva le vestigia di Filippo e di Donato, ancora che l'arte fusse diversa". Brunelleschi sviluppa una nuova concezione di rappresentare lo spazio che produce una vera rivoluzione nelle arti visive: la prospettiva. Ma Masaccio è anche "studiosissimo" delle statue di Donatello per le nicchie di Orsanmichele e del Duomo, entrambi avranno la massima importanza nel lessico pittorico di Masaccio.

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La Madonna dell'Umiltà, della National Gallery di Washington, è la più antica opera attribuibile a Masaccio; ha subito un pessimo restauro nel 1929-30 per cui pochi la inseriscono nel suo catalogo.
Nel Trittico di San Giovenale, 1422, scoperto nel 1961 da Luciano Berti, probabilmente opera di collaborazione, dimostra la già avvenuta frequentazione di Brunelleschi con la prospettiva che unifica i tre riquadri. Masaccio è al lavoro nel pannello centrale dove raffigura la Madonna e il bambino come figure reali, seguendo le orme di Giotto (1276-1337).
Nel 1423, in concomitanza con il Giubileo, secondo una recentissima ipotesi di Alessandro Scafi (1999), sarebbe stato a Roma per realizzare, assieme a Masolino, il Polittico della Neve per Santa Maria Maggiore con il famosissimo San Girolamo e San Giovanni Battista della National Gallery. Il contatto con l'arte classica romana lo aiutò poi nella concezione generale degli affreschi della Cappella Brancacci.
Masaccio, tornato a Firenze, affrescò da solo la Sagra, ora andata perduta, in chiaroscuro a terretta verde. Seguendo l'esempio dei bassorilievi romani rappresentò, secondo le norme del Brunelleschi delle "diminutioni et accrescimenti", personaggi eminenti di Firenze che avevano partecipato all'inaugurazione della Chiesa del Carmine nel 1422. Il sodalizio artistico con Masolino, un artista raffinato, che in città era tra i protagonisti della corrente tardogotica, prosegue con Sant'Anna Metterza del 1424-25.

La decorazione della Cappella Brancacci, nel transetto destro della Chiesa del Carmine a Firenze, con le storie di San Pietro, è l'episodio cardine del rapporto tra Masaccio e Masolino e costituisce l'avvenimento determinante della cultura artistica fiorentina del primo trentennio del '400. E' attraverso il confronto con Donatello che gli uomini raffigurati da Masaccio, nei vari riquadri, diventano individui autentici con passioni, sentimenti, ancorati alla fisicità e alla concretezza del reale. Per questo nella Cappella Brancacci, il suo capolavoro, le storie di San Pietro sono anche la storia di Firenze dei suoi anni, delle lotte vincenti contro il Visconti e cronaca: discussioni animate se sia giusto pagare tributi, una questione molto dibattuta in quel momento a Firenze.
Gli affreschi furono commissionati, prima del 1424, da Felice Brancacci, figura emergente della Repubblica fiorentina. Purtroppo il rapporto, con chi aveva il patronato, è ora meno leggibile per la perdita dei dipinti della volta dove Masolino aveva cominciato, forse da solo, con La navicella con la ricchezza che viene dal mare, un chiaro riferimento biografico a Felice Brancacci, arricchitosi attraverso traffici marittimi. Quasi tutti gli studiosi ritengono che, nel corso del 1425 per un periodo di diversi mesi, fino a quando Masolino non lasciò Firenze per recarsi in Ungheria, i due pittori si siano affiancati sui ponti, intenti a realizzare i dipinti del registro originariamente centrale del ciclo che presenta le scene più significative. Restato solo, Masaccio proseguì il lavoro nel Tributo, assieme alla Cacciata il riquadro più importante della Cappella Brancacci. In un unico spazio scenico sono narrati i tre momenti cruciali dell'episodio dell'arrivo di Gesù con gli apostoli a Carfànao narrato nel Vangelo di Matteo (17, 24-27). La storia è tutta sintetizzata nel gruppo centrale, che forma "una cerchia serrata di uomini poderosi risaltati da una luce temporalesca" (Longhi). Il restauro, conclusosi nel 1988, "ha evidenziato dietro queste figure un paesaggio straordinario, chiaro, dipinto con colori luminosi, un paesaggio di fine inverno. Si respira un'aria fredda, cristallina. Un grigio chiarissimo e lucente sui monti e non si capisce se sia neve o brina" (Casazza). E' merito dell'attento restauro anche la parziale revisione critica di quelle posizioni che, nel '900, avevano interpretato le alterazioni cromatiche precedenti, che davano un tono cupo alla Brancacci, un tratto caratteristico di Masaccio, considerato monocromo e "sironiano". Molta pittura italiana della seconda parte del '400, dall'Angelico a Piero della Francesca, ora si spiega meglio. Proseguì poi il lavoro, anche se con interruzioni, nella fascia inferiore senza completarla. L'opera rimase incompiuta anche per la caduta in disgrazia di Felice Brancacci. Per cancellare il ricordo di un patronato divenuto imbarazzante la cappella venne dedicata alla Madonna del Popolo. La decorazione della cappella fu portata a termine da Filippino Lippi, verso il 1481-1483, dopo che il bando contro la famiglia Brancacci venne ritirato nel 1474. "La sua pittura, seppur realizzata circa cinquant'anni dopo si inserisce in maniera da non creare evidenti e drastiche dissonanze stilistiche con le pitture dei predecessori" (Berti).
Nel 1426 il notaio Giuliano di Colino degli Scarsi da San Giusto commissionò a Masaccio il Polittico del Carmine di Pisa, smembrato nel tardo Cinquecento, per l'affermarsi delle idee controriformiste, ed oggi in parte disperso e smembrato tra vari musei. La tavola centrale con la Madonna in trono con il Bambino è alla National Gallery di Londra e la Crocifissione è a Napoli al Museo di Capodimonte. Nella predella con l'Adorazione dei Magi, ora a Berlino, diede una risposta convinta all'Adorazione di Gentile, capolavoro del gotico internazionale.
La Trinità, affrescata sulla parete della navata laterale sinistra della chiesa fiorentina di Santa Maria Novella, simulando l'esistenza di una cappella con "una volta a mezza botte tirata in prospettiva e spartita in quadri pieni di rosoni che diminuiscono e scortano così bene che pare che sia bucato quel muro" (Vasari), con uno straordinario artificio prospettico evocazione della cappella del Golgota, è l'ultimo lavoro di Masaccio a Firenze.
Nel 1428 Masaccio si reca con Masolino a Roma per decorare la Cappella Branda da Castiglione nella chiesa di San Clemente, invitato dal Cardinale Brando Brancacci. A Roma, in modo misterioso, si chiude prematuramente la sua vita. La risonanza della sua morte fu immediata. Famoso l'epitaffio di Brunelleschi: "noi habbiamo fatto una gran perdita". Alla morte di Masaccio non si verifica un'adesione incondizionata al suo stile, lo si tempera con uno sguardo proprio a Masolino. L'Angelico si pone tra i primi e più intelligenti interpreti del Masaccio in questa chiave.

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