Tutela boschiva & danni boschivi
Servizio vigilanza di tutela boschiva
Da 40 anni lo stato di salute del bosco viene osservato e monitorato con cura dal Servizio forestale provinciale. In tale ambito si rilevano tutti sintomi evidenti e i danni che compaiono nei popolamenti forestali. Accanto a tali rilievi vengono condotte prove chimiche su campioni fogliari e di terreno per identificare eventuali inquinamenti dovuti a sostanze nocive. Si è potuto verificare come la comparsa di molti danni boschivi trae la sua origine nell'andamento climatico sfavorevole; inverni poveri o molto ricchi di neve, gelate tardive, primavere troppo piovose, estati calde e siccitose o molto piovose, danni da vento e da grandine. Questi fenomeni mostrano spesso i loro effetti anche a distanza di anni, predisponendo le piante debilitate all'attacco da parte di alcuni patogeni, come il bostrico, la ruggine vescicolosa dell'abete, la processionaria del pino e altri insetti o funghi. Per questo motivo è utile un cenno preliminare sull’andamento climatico complessivo dell'anno.
Andamento climatico
I primi mesi dell'anno sono stati caratterizzati dall’alternanza tra diffuse nevicate fino in fondovalle, particolarmente nella parte settentrionale della provincia, e periodi di temperatura mite e föhn nella parte sud. Ad essi ha fatto seguito una primavera molto variabile con precipitazioni abbondanti, temperature miti interrotte bruscamente da colpi di coda dell'inverno e un singolo caso di grandine a fine aprile. Tale periodo piovoso con temperature sotto la media è durato fino alla fine di maggio, per evolvere poi in temperature decisamente estive a partire da giungo. Fino a fine settembre hanno prevalso temperature miti e abbondanza di precipitazioni temporalesche. A chiudere l'anno un autunno sostanzialmente mite e con temperature nella norma, fatta eccezione per novembre, molto ricco di precipitazioni e con nevicate fino in fondovalle (tra il 15 e il 17 del mese) che hanno causato danni significativi a boschi e infrastrutture.
[Fonte: Climareport dell’Ufficio idrografico provinciale]
Danni abiotici
Tra il 15 e il 17 novembre precipitazioni abbondanti, nevose a tratti fino al fondovalle, hanno causato schianti da vento stimati in ca. 900.000 mc di massa a terra; particolarmente colpite sono state la Val Pusteria e la zona di Bressanone; a cadere sotto il peso della neve pesante, accanto all’abete rosso, anche una quota significativa di pino silvestre. Gli schianti sono stati per lo più diffusi, dunque non hanno dato origine ad estese superfici denudate, come nel caso della tempesta di vento Vaia. Mentre in alcune zone l'evento ha interessato boschi risparmiati dalla tempesta Vaia, in Val Pusteria questi si vanno ad aggiungere agli schianti da vento dell'autunno 2018 accentuandone la gravità.
Schianti da vento si sono registrati all'inizio dell'anno e a luglio, ma si tratta di fenomeni di piccola entità.
Danni biotici
Coleotteri scolitidi
Una evidente relazione tra danni abiotici e biotici è riscontrabile nel caso degli attacchi di coleotteri scolitidi, favorito dagli schianti da vento e neve e dalla siccità. Dopo la tempesta Vaia il 2019 è stato vissuto dagli addetti ai lavori come un anno di attesa. Esperienze passate mostrano che le pullulazioni di coleotteri scolitidi a seguito di grossi eventi come Vaia dipendono in parte dalla disponibilità di substrato alimentare, rappresentato dalle piante schiantate, in parte dall’andamento climatico. A fronte di un risultato lusinghiero in termini di massa sgomberata (ca il 70% a fine anno), il clima ha dato una mano, con una primavera ricca di precipitazioni e caratterizzata da basse temperature, condizioni sfavorevoli al volo degli adulti svernanti e all'accoppiamento.
Di fatto la rete di monitoraggio di Ips typographus ha registrato dati di cattura rassicuranti e, in generale, gli insetti non hanno attaccato piante in piedi; dove questo è successo, c'erano già stati attacchi negli anni precedenti. Per monitorare le dinamiche di popolazione dei coleotteri scolitidi, con particolare riferimento a Ips typographus, specifico dell'abete rosso, si ricorre a una rete di 100 trappole a ferormoni distribuite sul territorio, con particolare peso sulle aree schiantate da Vaia. A seguito degli schianti da neve di novembre, si è deciso di ampliare ulteriormente questa rete con ulteriori 13 trappole. Il loro periodico svuotamento, combinato alla conta degli insetti catturati, permette di avere un chiaro quadro sulle dinamiche di popolazione della specie, con particolare riguardo alla tendenza a compiere una o piú generazioni l’anno.
Gli attacchi di Tomicus spp. a carico dei getti di pino, che provocano vistosi arrossamenti osservati spesso su ampie superfici, non hanno rilevanza dal punto di vista forestale. Tale fenomeno è da ricondurre all’attività minatoria del medesimo scolitide a carico dei getti di accrescimento, necessaria all'insetto per raggiungere la maturità sessuale. Tali attacchi, non letali per la pianta, sono comunque oggetto di rilievo sistematico in quanto possono, in particolari condizioni di pullulazione, preludere a un attacco a carico del tessuto corticale del tronco, quest’ultimo letale per la pianta. A seguito degli schianti da neve di novembre, questo è un possibile scenario. Per ora, comunque, l'insetto rimane in condizioni di latenza.
Coleotteri scarabeidi
Nel 2019 il maggiolino (Melolontha melolonta L.), che episodicamente può rendersi responsabile di forti pullulazioni a carico di piante da frutto e forestali, si mantiene in latenza.
Coleotteri curculionidi
Di tale famiglia è oggetto di particolare osservazione Rhynchaenus fagi, insetto minatore delle foglie del faggio, di cui può determinare vistosi arrossamenti, non letali per la pianta ospite. Di questa specie, dopo una serie di anni in continuo regresso, per il secondo anno non si registrano attacchi.
Microlepidotteri
La tortrice grigia del larice (Zeiraphera griseana), che nelle valli alpine è caratterizzata da pullulazioni a cicli di 8 anni, a seguito di una progradazione nel 2009/2010 ha avuto il suo ultimo picco nel 2011 in Val Venosta, nel Meranese ed in Val Passiria, con estesi ingiallimenti delle chiome e centinaia di migliaia di piante colpite. L'attacco si è poi andato esaurendo verso est, senza lasciare danni permanenti. Il 2017 segna il ritorno puntuale di questo microlepidottero, ricomparso in alta Val Venosta a Curon e Tanas su una superficie ridotta di 535 ha. L’attacco si è ripetuto nel 2018. La pianta ospite reagisce all'attacco con l’emissione di foglie meno appetibili; tale decadimento della qualità del substrato alimentare provoca di fatto la fine della pullulazione. Nel 2019 infatti non si sono più registrati attacchi.
Per Coleophora laricella, altro microlepidottero specifico del larice, non si registrano attacchi nel 2019, confermando la tendenza negativa degli ultimi anni.
Macrolepidotteri
Non si registrano per il 2019 attacchi di Lymantria dispar; tali eventi da noi hanno una frequenza tra i 10 e i 20 anni e colpiscono per lo più i cedui delle Valli d’Adige e d'Isarco.
Processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa)
Dopo l'estate 2015, caratterizzata da siccità e alte temperature, si è registrato un forte aumento degli attacchi di questo macrolepidottero, con attacchi particolarmente acuti nella parte occidentale della provincia, la Val Venosta, zona endemica di diffusione di questo insetto. I valori raggiunti, rispetto all’anno precedente, arrivavano al quadruplo di piante attaccate e a otto volte per quanto riguarda il numero di nidi per pianta. Nel 2017, a fronte di una superficie interessata mantenutasi pressoché costante, si è invece registrato un vistoso decremento delle piante attaccate, che passano dalle 884.732 del 2015 alle 374.348 del 2016 e alle 159.200 del 2017, per scendere sotto la soglia delle 100.000 nel 2018. Il 2019 vede una ulteriore riduzione nel numero di piante attaccate e parallelamente una riduzione del numero di nidi per pianta; la lotta attiva a questa specie viene effettuata con una sospensione di spore di Bacillus thuringiensis da mezzo aereo, limitatamente a quelle zone dove la vicinanza a insediamenti umani o vie di comunicazione può causare all’uomo e agli animali domestici problemi di natura sanitaria. Si riconferma anche la presenza (per il 4° anno) di nidi di processionaria ai margini dell’altopiano di Nova Ponente (Regglberg), segno tangibile del cambiamento climatico in corso. Si cerca di arginare la diffusione di tale patogeno su questo altopiano, ricco di pinete secondarie, con l’allestimento di trappole per le larve di 5° stadio; considerato che le piante attaccate sono poche, l'iniziativa può rallentare l'espansione di questo lepidottero in modo significativo. Nella parte centrale della Provincia il fenomeno si è mantenuto moderato. Esente da attacchi resta, per ora, la Val Pusteria, a causa del clima piú continentale.
Insetti alloctoni
Fonte di preoccupazione per i castanicoltori è dal 2011 la diffusione della vespa galligena del castagno (Dryocosmus kuriphilus), importato dalla Cina, osservato per la prima volta nel 2009 nel Meranese (Castel Verruca, Scena, Postal, Tirolo) e nella media Val d’Isarco presso Varna e Aica.
La più efficace strategia per contrastare questo parassita è la liberazione in campo dell’antagonista naturale il Torymus sinensis.
Questa forma di lotta biologica è stata intrapresa a partire dal 2010 dal Servizio fitopatologico in collaborazione con l’Università di Torino e il personale forestale ed è stata ripetuta per diversi anni fino al 2017; allora nella parte est dell’areale del castagno non si segnalavano più segni di attacco della vespa galligena del castagno. Nel 2018 si sono registrati attacchi significativi solo in Val Venosta e nel Burgraviato, dove l’antagonista naturale ha evidentemente bisogno di più tempo per affermarsi; altrove il cinipide si manteneva latente. Per il 2019 si può confermare un sostanziale equilibrio tra il Dryocosmus e il suo parassitoide: la produttività dei castagneti da frutto può essere senz'altro influenzata dal successo riproduttivo della vespa galligena, oltre che dall’andamento climatico stagionale.
Patologie fungine
Il 2019 non è stata un'annata particolarmente ricca di patologie fungine. Su molte specie arboree sono stati osservati sintomi riconducibili agli attacchi degli anni precedenti, non sono stati osservate nuove patologie fungine. Alcuni fenomeni sono in parte riconducibili a patogeni di recente introduzione (neobiota). Sono fenomeni non nuovi, conosciuti da tempo; si pensi ad esempio al cancro corticale dell'olmo o del castagno, ma che negli ultimi anni sono sempre piú frequenti. In questi casi la mancata co-evoluzione di ospite e patogeno può portare a notevoli squilibri all'interno degli ecosistemi forestali.
Abete rosso
La specie arborea più diffusa nei boschi altoatesini ha avuto un'annata relativamente tranquilla per quanto riguarda le patologie fungine. Non si segnalano infatti fenomeni di rilievo. La ruggine vescicolosa dell'abete rosso (Chrysomyxa rhododendri), che provoca a volte vistosi arrossamenti della chioma, è in fase di regresso. Dopo il picco raggiunto nel 2015, con una superficie colpita pari a ca. 53.000 ha (sup. ridotta: ca. 22.000 ha) per un totale di 6,6 milioni di piante, è iniziata la fase regressiva. Nel 2016 si registrava una contrazione con circa 35.000 ha di superficie interessata (sup.ridotta 13.500 ha) per un totale di ca 4 milioni di piante colpite e nel 2017 l’infestazione era presente solo localmente con intensità debole, su complessivi ca. 1.000 ha (sup.ridotta ca. 350 ha), per un totale di ca 100.000 piante. Anche nel 2018 il patogeno era presente solamente su ca 1.500 ha (sup.ridotta ca 600 ha). Per il 2019 la patologia si può considerare sostanzialmente assente.
Larice
Anche per il larice si può affermare che il 2019 sia stata un’annata di calma. Dopo i vistosi ed estesi ingiallimenti della chioma osservati nel 2016, a partire dal 2017 abbiamo avuto una netta attenuazione del fenomeno, sia nell’estensione che per quanto concerne l’intensità.
Pini
Il fenomeno di deperimento a carico dei pini in val Venosta prosegue, anche se in forma più attenuata rispetto agli anni scorsi. I prolungati periodi siccitosi degli ultimi anni hanno reso le piante particolarmente suscettibili ad attacchi da parte di patogeni secondari, tra cui anche infezioni fungine, quali Cenangium ferruginosum e Diplodia pinea (Sphaerospis sapinea). Fenomeni di questo tipo si sono già verificati ciclicamente in più occasioni nella nostra provincia, soprattutto a partire dagli anni 80, in particolare a carico del pino silvestre alle basse quote, e sono inquadrabili all'interno di un processo di evoluzione naturale verso formazioni forestali di latifoglie ecologicamente più stabili.
Il fenomeno dell’arrossamento anomalo degli aghi osservati nel corso dell’estate 2017 a carico del cembro, soprattutto a quote comprese tra i 1.900 ed i 2.100 m si può ritenere stabile. Analisi di laboratorio condotte su alcuni campioni raccolti non hanno evidenziato la presenza di patogeni. Allo stato attuale non sono ancora chiare le cause del fenomeno.
Frassino maggiore
La moria dei getti del frassino (Hymenoscypus pseudoalbidus o fraxineus) è ormai presente su tutto il territorio provinciale. Tale fungo, che attacca i getti di accrescimento per poi estendersi alle parti più centrali della chioma, può portare a morte le piante colpite. Si osserva tuttavia una percentuale non trascurabile di piante prive di sintomi. Queste piante, apparentemente resistenti al patogeno saranno importanti per la ricostituzione dei popolamenti di frassino nei prossimi anni.
Orniello
Nel 2018, nel corso di un sopralluogo nel Burgraviato è stata osservata una pianta di orniello con tipiche infezioni corticali attribuibili all’agente patogeno Hymenoscyphus pseudoalbidus o fraxineus, responsabile del deperimento del frassino maggiore. La presenza del patogeno è stata osservata, sempre nel 2018, anche su campioni raccolti nella zona di Trodena. Questi rinvenimenti sono un'ulteriore conferma della capacità del fungo di colonizzare i tessuti legnosi dell’orniello, su cui comunque gli attacchi finora non appaiono così intensi come su Fraxinus excelsior, al contrario risultano fortunatamente poco virulenti e scarsamente diffusi sul territorio. Andrà comunque maggiormente investigata la possibilità del patogeno di mantenersi e diffondersi anche su orniello, causando potenzialmente problemi nei boschi cedui della provincia.
Ontano verde
Sull'ontano verde si registrano localmente anche per il 2019 i fenomeni già osservati in passato legati alla presenza del fungo patogeno Valsalnicola o Cryptodiaporthe oxystoma. In questo caso si ritiene che il fenomeno possa essere legato ad uno stato di stress idrico primaverile associato ad inverni particolarmente miti e scarsamente nevosi.
Ontano bianco
La ruggine dell'ontano (Melampsoridium hiratsukanum) è ormai presente in tutta la provincia, per ora a carico esclusivo dell'ontano bianco. Questo patogeno, osservato in Alto-Adige per la prima volta nel 2010, è visibile in estate sotto forma di “polvere” arancione sulla pagina inferiore delle foglie ed è responsabile della caduta precoce delle stesse. In seguito al monitoraggio condotto nel corso del 2017 e proseguito nel 2018, si è osservato in molte zone del territorio provinciale un vero e proprio deperimento a carico dell’ontano bianco. Oltre alla presenza della ruggine è stata rilevata in più ontanete la presenza di un fungo patogeno appartenente al genere Phytophtora. Analogamente a quanto accade per il castagno, anche in questo caso le piante colpite sono destinate a morire.
Nel 2019 l’Ufficio Pianificazione Forestale in collaborazione con il Servizio Fitosanitario Provinciale e con la Fondazione E. Mach di San Michele all’Adige-TN ha avviato un'indagine su tutto il territorio provinciale con l’obiettivo di valutare lo stato di salute delle ontanete, di individuare piante resistenti e di definire una efficace strategia di gestione e conservazione delle ontanete.
Ailanto
Nell'estate del 2017 in Val Venosta presso Silandro e contemporaneamente a Rovereto in Provincia di Trento sono stati osservati segni di deperimento a carico di questa specie. In entrambi i siti sono stati raccolti campioni su piante deperienti ed è stato possibile isolare in laboratorio il patogeno responsabile: Verticillium dahliae. I sintomi esterni comprendono l'avvizzimento improvviso delle foglie durante la stagione vegetativa ed il disseccamento di rami o addirittura la morte dell’intera pianta. Nell'estate del 2018 si è provveduto ad indagare ulteriormente il fenomeno, osservando gli stessi sintomi in diverse zone della nostra provincia: Lana, Gargazzone, Bronzolo, Montagna, Bressanone. Allo stato attuale il fenomeno è stato osservato in ben 40 siti in Trentino Alto-Adige.
Queste osservazioni rappresentano le prime manifestazioni della patologia su ailanto documentate in Italia e confermano la diffusione della malattia anche a sud delle Alpi (prime osservazioni in Europa nel 2016 in Stiria).
Carpino nero
Nel corso di un sopralluogo a Lana, è stato ritrovato un carpino deperiente con evidenti sintomi legati alla presenza del cancro tipico da Botryosphaeria dothidea. Questo risulta essere il primo rinvenimento della patologia in Alto Adige. Gli studi effettuati finora hanno evidenziato come la comparsa di questi tipici cancri sia legata a caratteristiche climatiche e stazionali e tendono ad accentuarsi in caso di stress idrici, portando in alcuni casi a fenomeni di deperimento e mortalità dei polloni colpiti. Finora è stata riscontrata la presenza di B. dothidea e di un altro fungo Dothiorella parva, spesso isolato anche su tessuti sani. Ciò sembrerebbe confermare il ruolo di entrambi i funghi come endofiti capaci di trasformarsi in effettivi patogeni. Di sicuro l’impatto di condizioni climatiche particolari, quali temperature elevate e prolungati periodi siccitosi, sembra avere un ruolo decisivo.
Patologie fungine
Il monitoraggio fitopatologico nei boschi della provincia di Bolzano si è avvalso anche per l’anno 2019 della preziosa collaborazione del personale della Fondazione E. Mach di San Michele all’Adige (Dott. Giorgio Maresi), che da anni supporta la Ripartizione Foreste della Provincia Autonoma di Bolzano per quanto riguarda sopralluoghi in campo ed analisi di laboratorio.
Non è superflua a questo punto una visione d’insieme sull'incidenza dei danni boschivi a livello provinciale. Il risultato dell’elaborazione delle segnalazioni provenienti dalla capillare rete di stazioni forestali è sintetizzato nel diagramma che segue.
Neofite
Le specie vegetali non autoctone, introdotte dall’uomo in un dato territorio dopo la scoperta dell’America, vengono definite “neofite”.
Di tutte le neofite, solamente una parte riesce a sopravvivere nei nuovi ambienti e a riprodursi. Un numero ancora più esiguo di specie infine, si trova talmente bene nei nuovi habitat, da diffondersi rapidamente e diventare invasiva. Le specie invasive dimostrano una grandissima capacità concorrenziale nei confronti delle specie autoctone, arrivando a soppiantarle in molti ambienti. Oltre a produrre un impoverimento nella biodiversità tipica di un luogo, alcune specie invasive possono avere effetti negativi sulla salute di uomini ed animali.
Tra le specie maggiormente problematiche attualmente diffuse in provincia, si annoverano il panace di Mantegazza, il poligono del Giappone, la balsamina dell’Himalaya, la verga d'oro del Canada, il senecione sudafricano, oltre alla robinia e all’ailanto.
La Ripartizione Foreste ha avviato nel 2012 due progetti per il contenimento del panace di Mantegazza e del senecione sudafricano. Mentre la prima specie può provocare pericolose ustioni cutanee, la seconda risulta altamente tossica per gli animali al pascolo e per le api.
Tutti i focolai noti di panace vengono costantemente monitorati ed annualmente trattati (sradicazione o sfalcio prima della fioritura). Questi provvedimenti hanno permesso di limitare fortemente l’ulteriore espansione della specie a livello provinciale. Oltre a ciò, a partire dal 2018, sono state effettuate su un’area in Val d’Ega alcune prove di avvelenamento del panace con olio di betulla. Tali prove non hanno portato risultati soddisfacenti.
Il senecione sudafricano è invece oggetto di interventi di sradicazione manuale nelle due zone di maggiore diffusione: Castelfeder e val Venosta. Anche nel 2019 sono stati organizzati diversi interventi di sradicazione, soprattutto con alunni e volontari.
Per quanto concerne l’ailanto sono in corso prove di contenimento della specie in diverse aree test della Bassa Atesina. Queste prove hanno portato alla pubblicazione di una prima tesi di laurea nel 2019 (http://www.provincia.bz.it/agricoltura-foreste/bosco-legno-malghe/downloads/Masterarbeit_Tratter_Lukas(2).pdf ). Una seconda tesi, prosecuzione della prima, è attualmente in fase di realizzazione.